lunedì 5 ottobre 2009

CARTONI di Enrica Loggi

La poetessa Enrica Loggi che ha visitato la mia mostra di San Benedetto del Tronto, mi ha spedito queste parole, la ringrazio con affetto.

"Cartone: come a dire fatiscenza e provvisorietà del nostro tempo, il respiro di una povertà illustre, non rassegnata, ancora appassionatamente aperta al gioco dell’esistenza, in onda con le giornate di un’arte che si fa povera come per un’investitura e sceglie l’austerità di questo materiale per parlarci di cose labili da raccontare all’eternità.
I confini di questo linguaggio sfumano nel mito, e possono accarezzare i capelli della sirena Partenope che sono onde di spago fermate da un pettine azzurro-mare, o parlarci di un viaggio con la vecchia Napoli nel cuore, inscritto in un altarino mobile, portatile, fatto di una valigia che ha nel ventre l’immagine in fotocopia della città, l’antica cartolina del pino sul golfo col Vesuvio sullo sfondo, chi non la conosce? Un lumino rosso adagiato ad arte davanti all’immagine schiude il pensiero di un amore antico, in una sfumatura d’ironia : la città affidata a un cuore piccolo come un lume-lampada per il viaggio, il ritorno, per sempre.
Man mano che si scorrono con lo sguardo, le “creature” di Giuseppe Piscopo rimandano a una ritrovata infanzia della percezione e del fare, dentro un’arcana sapienza.
L’Arte vi cerca rabdomanticamente la sua materia, suscita eventi, pesca nell’inedito per regalarci parabole visive e visionarie, piccoli e grandi giochi semantici, rimandi al flusso vitale inteso come labirinto, in cui l’artista può e deve operare, secondo una legge interna di libertà ineludibile.
Ciò che “avviene” è come ripescato in un alternarsi di parole-chiave, sciarade che percorrono il territorio dei significanti scanditi dalla fantasia, decifrati da essa come da una legge sottile, una “scrittura” inaudita, funambolica, che trascina la realtà nel suo alveo magico.
Decisivo è il ruolo dei materiali in queste figurazioni, ogni volta sembra che l’immagine salti fuori da un impasto onirico, tanto è lo spazio lasciato alla fantasia di incollare, legare, ritagliare, muovere cioè continuamente la materia come trascinati da una febbre particolare, che è forse il tratto felice del ri-creare, di intervenire nel già detto, muoversi nella realtà senza poterne cambiare le carte, ma restando quasi per scommessa nel gioco delle cose, e tradendo così l’amore viscerale di appartenervi, prossimi al disincanto per quello che non possiamo, per essere anche noi, in fondo, dei cartoni in cerca di qualcuno che colori i nostri occhi, inventi i nostri abiti, ci “rifaccia nuovi.”
Giuseppe Piscopo lascia a noi tutte le sorprese, la gioia di interpretare, di spiare da dove è partito il suo gioco, entrare nel suo sorriso, e anche nella sua derisione: ecco allora Spaccanapoli significata da una fenditura nel cartone che si apre su un’ampia fotocopia della città, sottolineata in giallo come a ritrarne le vene doloranti, il Vesuvio che diventa una caffettiera antica, un mito dell’infanzia della nostra storia di “moderni”, la sagoma della sirena distesa su un lettino psicanalitico, l’urna elettorale del “ Mistero dell’interno”…
L’arte di Piscopo ci riporta a un’identità percettiva perduta, è ancora una via possibile per uscire dal magma, per “salvare” il cartone della nostra esile anima su un’apetta che costa poco e vale molto, in viaggio di notte per le strade di Napoli come in un sogno dell’infanzia".

Enrica Loggi
29/9/2009

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